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Il Comune di Milano verso una nuova politica della mobilità ciclistica?


Il 20 settembre 2006, CICLOBBY e FIAB, rappresentate dai rispettivi presidenti Eugenio Galli e Luigi Riccardi, sono state convocate insieme a Costantino Ruggiero di ANCMA per un’audizione presso la VIII Commissione consiliare (Mobilità - Traffico - Ambiente) di Palazzo Marino, presieduta dal consigliere Marco Osnato.
 
In quella sede abbiamo potuto conoscere, dalla viva voce dell’assessore al Traffico Edoardo Croci, le linee di indirizzo del Piano della Mobilità Ciclistica che il Comune di Milano sta predisponendo, come già si era appreso da notizie di stampa.
 
Secondo le dichiarazioni dell’assessore, il Piano sarà pronto entro la fine dell’anno e verrà sottoposto quanto prima a una consultazione pubblica per favorire la più ampia condivisione attraverso un coinvolgimento non limitato ai competenti settori comunali, ma esteso invece alla cittadinanza e ai soggetti esterni portatori di interesse (associazioni, università).
Il Piano attualmente in corso di elaborazione non riguarda solo la mobilità del tempo libero: riconosce il contributo della bici nella mobilità urbana e si propone di incentivarne l’utilizzo in modo ancora più diffuso, seppure con le limitate risorse economiche attualmente disponibili. Esso definisce interventi sulla rete ciclabile, sul potenziamento dei posti destinati al parcheggio delle biciclette (con una previsione di 3.200 manufatti in 225 localizzazioni), sulla segnaletica e sulla comunicazione istituzionale.
 
La presentazione è stata preceduta da alcune considerazioni introduttive che sono parse non meno importanti sul piano simbolico, come espressione di un nuovo clima politico.
 
Innanzitutto la dichiarazione dell’assessore al Traffico che individua nella mobilità ciclistica un settore nel quale può esservi, per il Comune di Milano, la possibilità di un “salto di qualità”, un modo istituzionale per evidenziare la presa d’atto della criticità dell’attuale situazione.
Ma l’assessore Croci si è spinto oltre, dichiarando che “dalle ricognizioni effettuate, i 70 km di piste ciclabili dichiarati risultano solo teorici, in quanto molti di essi sono scollegati o fuori norma”.
E’ la prima volta che, in modo pubblico e ufficiale, l’Amministrazione comunale riconosce le discrepanze per anni da noi inutilmente denunciate. Abbiamo pertanto apprezzato un’analisi che ci è sembrata intellettualmente onesta.
 
A fronte di ciò l’obiettivo che l’Amministrazione parrebbe volersi dare è di “mettere a norma i tratti esistenti, realizzare le connessioni mancanti, estendere la rete ciclabile, con una maglia continua in direzione concentrica e radiale, portandola, nell’arco di cinque anni, a uno sviluppo complessivo di 120 km reali, pensati in continuità anche con la rete ciclabile provinciale”.
 
Fin qui, certo, siamo alle parole e alle promesse. Molto dipenderà da quanto di questa disponibilità si concretizzerà nell’azione amministrativa. Ma è anche giusto, dopo un decennio di rapporti sterilmente conflittuali e di dialoghi tra sordi con l’amministrazione comunale, riconoscere quelli che appaiono elementi di novità.
 
Nel corso del dibattito seguito alla relazione dell’assessorato sono intervenuti diversi consiglieri, di maggioranza e di opposizione, con giudizi sostanzialmente positivi e con manifestazioni di interesse ed attenzione. Non sono mancate alcune posizioni critiche (ad esempio sulla possibilità di utilizzare corsie preferenziali e marciapiedi per il transito delle biciclette).
 
Per parte nostra, FIAB e CICLOBBY come rappresentanti del movimento cicloambientalista, abbiamo voluto nuovamente ribadire alcune richieste, chiedendo di poter partecipare, nel rispetto dei ruoli diversi e distinti, alla elaborazione dei provvedimenti che il Comune di Milano intende adottare per favorire la mobilità ciclistica
 
In fatto di mobilità ciclistica Milano ha accumulato un ritardo pluridecennale, che va analizzato con onestà e che richiederà molto impegno, coerente e non discontinuo, per poter essere colmato. Attraverso la definizione di obiettivi concreti e misurabili.
D’altro canto, proprio il contrasto alla drammatica situazione di invivibilità creata dal traffico e dall’inquinamento può trovare nella bici un prezioso alleato, in un’ottica di mobilità sostenibile.
 
Da qui l’auspicio che vi sia finalmente nella nostra città, sulla bici, un cambiamento che parta dagli stili e dalla prassi della Amministrazione. Un cambiamento fatto di condivisione, ascolto e pragmatismo.
Non vi è alcuna pretesa di sostituire le responsabilità di chi governa, né desiderio di costruire artificiosi consensi: il rapporto dialogico, che non presuppone identità di visioni, è però importante per cercare di costruire qualcosa di nuovo e di utile per la mobilità ciclistica, nell’interesse della città.
 
Abbiamo quindi sottolineato la necessità che il Comune di Milano, in tutte le sue articolazioni politiche, amministrative e tecnico-burocratiche, compia preliminarmente l’opzione di considerare la bicicletta un mezzo di trasporto sempre più utile per la mobilità nelle città e nelle aree metropolitane. Soprattutto se la bici viene integrata con gli altri mezzi e in primo luogo il trasporto pubblico.
 
L’obiettivo deve dunque essere lo sviluppo della mobilità ciclistica diffusa e in sicurezza, da ottenere con vari provvedimenti, quali: piste ciclabili quando vi è incompatibilità tra il traffico motorizzato e quello delle biciclette, moderazione del traffico (zone pedonali con eccezione per la bici, zone e strade residenziali, zone e strade con il limite a 30 km/h, etc.), altri interventi specifici (utilizzo ai sensi del Codice della strada dei marciapiedi adatti; doppio senso per le bici nei sensi unici per gli altri veicoli; utilizzo delle corsie riservate ai mezzi pubblici di calibro adeguato; diffusione capillare di parcheggi idonei a scoraggiare il furto delle biciclette; integrazione modale con i mezzi pubblici di trasporto; noleggio di biciclette di proprietà comunale), sostegno della domanda di mobilità ciclistica, in particolare mediante appositi progetti casa scuola e casa lavoro.
 
Abbiamo poi soffermato l’attenzione su alcuni temi che consideriamo nevralgici per impostare una politica della mobilità ciclistica articolata sulle effettive esigenze della città.
  1. Censimenti dei ciclisti: negli ultimi anni sono stati effettuati da CICLOBBY, con notevole investimento di energie. La conoscenza della domanda è fondamentale per poter definire le priorità di intervento e di monitorare nel tempo gli effetti delle politiche adottate. E’ dunque auspicabile che il Comune voglia perseguire queste metodologie di analisi.
  2. Servizio di bici a noleggio pubbliche: nelle città europee (Vienna, Berlino, Lione…) come pure in molte città italiane esiste la possibilità di noleggiare con facilità e a costi contenuti una bici. Ciò permette di privilegiare quindi la mobilità non inquinante, anche da parte di chi non possieda una bici avendo, ad esempio, lasciato l’auto in un parcheggio. A Milano questa possibilità ancora manca: è tempo di superare l’esperienza milanese delle “bici gialle, che deve essere modello da non imitare, non più alibi per non fare.
  3. Intermodalità con i mezzi pubblici: in Europa la bici viaggia in metropolitana e talvolta anche sulle linee di superficie, a Milano no. La possibilità di trasportare la bici sui mezzi pubblici, nella nostra città, è ancora oggi improntata ad un uso sostanzialmente limitato al tempo libero (al sabato e la domenica e, nei giorni feriali, solo la sera dopo le 20). Noi non chiediamo forzature, ma finalmente, anche qui, un sano pragmatismo: si tratta di consentire l’accesso della bici al trasporto pubblico negli orari “di morbida”, con adeguata regolamentazione.
  4. Furto di bici: a Milano è un problema particolarmente diffuso. Il furto endemico delle bici rappresenta, oltre ai molti esistenti, un ulteriore disincentivo alla diffusione dell’utilizzo quotidiano della bicicletta. Inoltre, favorisce la circolazione di veri e propri rottami, inefficienti sul piano meccanico prima che estetico che, oltre a rendere più faticoso lo spostamento del ciclista, ne compromettono in molti casi la stessa incolumità (mancanza di luci e catadiottri, freni in cattivo stato, etc.). Infine, gli effetti del furto si ripercuotono anche sul mercato del “nuovo”, scoraggiando l’acquisto di bici di qualità e invogliando viceversa ad acquistare un “usato” che spesso è di origine furtiva.
Ebbene, la soluzione di un problema di tale complessità non è forse del tutto alla portata del singolo Comune, ma sicuramente occorre stroncare con decisione i luoghi pubblici (e notori!) di ricettazione, smettendola di girarsi dall’altra parte: in primo luogo, il mercato di bici rubate in piazzale Cantore che si svolge ogni sabato.
  1. Binari dismessi: nelle pavimentazioni milanesi, affondati nel pavé o nell’asfalto, ci sono ben 24 km di binari non più in esercizio, che giacciono in alcuni casi anche da vari decenni, creando spesso situazioni di grave pericolo per l’incolumità dei ciclisti e in generale degli utenti della strada: occorre pianificarne la rimozione o, come misura provvisoria, almeno una adeguata copertura e messa in sicurezza.
  2. A Milano serve una buona dose di pragmatismo: è cioè indispensabile evitare di trincerarsi dietro le parole, discutendo invece nel merito i problemi, cercando le soluzioni possibili.
Alcuni esempi: 
    • Marciapiedi: non si tratta di dare una risposta di valore assoluto, che riguardi tutti i marciapiedi di Milano, ma di analizzare i singoli casi.
Vi sono marciapiedi stretti, affollati, con molti negozi e portoni di accesso: lì no. Ma ci sono anche marciapiedi larghi, poco frequentati da pedoni, con scarsi accessi privati (ne abbiamo fatto a suo tempo un lungo elenco di valore esemplificativo): su questi è sicuramente applicabile quanto già previsto dalla normativa del Codice della strada vigente. Ciò non significa, evidentemente, autorizzare l’accesso generalizzato delle bici ai marciapiedi. Il resto è un fatto di educazione e, dove serve, di rieducazione.
    • Corsie ATM: anche sul tema delle corsie riservate ai mezzi pubblici abbiamo frequentemente assistito a dibattiti non pragmatici ma ideologici. Con contrapposizioni che non portano ad alcun risultato utile. Anche in questo caso ci sembra che la migliore soluzione sia quella di considerare i singoli casi.
Ci sono corsie sufficientemente ampie per consentire un transito in sicurezza al mezzo pubblico e alla bici: perché vietarle ai ciclisti? Ci sono poi corsie il cui calibro non garantisce la sicurezza del ciclista o la speditezza del mezzo pubblico: si valuti allora se è possibile intervenire allargandole. A fronte di una impossibilità o oggettiva difficoltà di adeguare la dimensione della corsia, non apparirà irragionevole vietarvi la circolazione della bici.
 
A ormai oltre due mesi da quella audizione, non siamo ancora a conoscenza di sviluppi concreti: ne chiederemo conto all’assessore.
Difficile escludere il rischio che, rispetto al dibattito in corso sulla pollution charge, un eventuale fallimento o differimento dell’iniziativa politica porti con sé anche lo “schiacciamento” delle importanti aperture positive in tema di ciclabilità di cui abbiamo qui voluto dare conto. Sappiamo che l’inferno è lastricato di buone intenzioni.
Ma, in ogni caso, noi non smetteremo di tenere alta e viva l’attenzione su questi temi di importanza nevralgica per la nostra città. Pretendendo con decisione  il rispetto degli impegni assunti.
Eugenio Galli (presidente CICLOBBY) e Luigi Riccardi (presidente FIAB)
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