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Una legge irragionevole
posted by Presidente on 04/07/2009

Con una misura che lascia sconcertati, è stata introdotta in via legislativa, attraverso il pacchetto di “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” approvato il 2 luglio dal Parlamento, una modifica alle norme del codice della strada, prevedendo la possibilità di decurtare i punti della patente di guida anche nel caso di infrazioni commesse in bicicletta.
 
Si tratta dell’art. 3 comma 48 del disegno di legge di iniziativa del Governo che introduce un articolo (219-bis) all’interno del corpus normativo del codice della strada (decreto legislativo 30.4.1992, n. 285) e recita testualmente come segue:
(…)
2. Se il conducente e` persona munita di patente di guida, nell’ipotesi in cui, ai sensi del presente codice, sono stabilite le sanzioni amministrative accessorie del ritiro, della sospensione o della revoca della patente di guida, le stesse sanzioni amministrative accessorie si applicano anche quando le violazioni sono commesse alla guida di un veicolo per il quale non e` richiesta la patente di guida. In tali casi si applicano, altresı`, le disposizioni dell’articolo 126-bis.
(…)».
Le disposizioni dell’articolo 126-bis sono, appunto, quelle relative alla cd. “patente a punti”.
 
Al di là della tecnica legislativa adottata, che sotto il generico cappello della “sicurezza pubblica” ha regolato fattispecie fra loro estremamente diversificate, ci preme far rilevare la netta censura della Federazione Italiana Amici della Bicicletta in relazione alla norma sopra citata, per ragioni di merito e di metodo.
 
Non ci interessa qui promuovere la difesa di un interesse meramente corporativo dei ciclisti: questo offrirebbe solo un comodo sotterfugio a chi vorrebbe liquidare sbrigativamente le nostre obiezioni.
Ci sembra invece che questa norma – che non risulta avere uguali in Europa – sia portatrice di sostanziali violazioni di principio, che riguardano tutti i cittadini, indistintamente.
 
Si pone innanzitutto un problema di tenuta rispetto al principio di eguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione. Che impone un uguale trattamento delle situazioni analoghe e, reciprocamente, un trattamento diverso delle situazioni diverse.
In questo senso, sottrarre punti alla patente auto per violazioni del codice della strada commesse alla guida di veicoli che non prevedono una specifica abilitazione alla guida (le bici, appunto) appare contraddittorio e immotivato.
 
Non solo: anche condizionare l’applicazione della sanzione al possesso della patente è un ulteriore elemento di incomprensibile discriminazione, risultando sfavorito, a fronte di una medesima violazione, chi possiede la patente: se due ciclisti commettono la stessa contravvenzione, ma uno ha la patente e l'altro no, solo al patentato si applica la decurtazione dei punti. Anche questo stride palesemente con il principio di uguaglianza.
 
Aggiungiamo peraltro che, proseguendo questa linea di ragionamento, pure il pedone che attraversa con il semaforo rosso dovrebbe subire la decurtazione dei punti della patente di cui egli sia eventualmente in possesso.
 
Per tutti questi motivi, questa norma ci sembra un parto giuridicamente insensato.
Rispetto ad essa, dunque, attendiamo la prima contravvenzione a un ciclista con decurtazione punti, per fare ricorso al giudice di pace e chiedere che la norma venga rimessa alla Corte costituzionale per il sindacato di legittimità.
 
Alcune considerazioni conclusive.
Il tema della “sicurezza pubblica” non deve essere banalizzato né agitato come un randello, perché chi lo fa, consapevolmente o meno, specula sulla paura e sull’allarme sociale. Oggetto della nostra missione statutaria sono temi, assai più limitati ma non per questo meno importanti, che hanno attinenza anche con la sicurezza stradale.
 
Diciamo allora che in Italia il problema della endemica insicurezza delle nostre strade, anche urbane, è certamente serio e grave, e non da oggi: ma non ci risulta che esso sia causato dai ciclisti i quali semmai, insieme ai pedoni, sono tra le vittime più numerose. Rispetto alla norma commentata, sfugge dunque persino quale sia l’obiettivo perseguito dal Legislatore.
 
Nel nostro Paese manca da sempre una politica di attenzione nei confronti della mobilità ciclistica: inutile proporre impietosi quanto inevitabili confronti con ciò che avviene negli altri Paesi europei che stanno ad appena pochi chilometri da qui. E i pochi impegni assunti dal nostro Governo (ad esempio quello, risalente al novembre 2007, di istituire un Servizio Nazionale per la Mobilità Ciclistica) spesso restano sulla carta.
 
Come sollecitato da governi e istituzioni europee, e ben sintetizzato dalle parole del Commissario ai Trasporti della Comunità europea Antonio Tajani, attendiamo anche dal Parlamento italiano provvedimenti per "promuovere l'uso della bicicletta come mezzo di trasporto urbano a emissione zero".
 
Da qui l’amara conclusione che, anche in questo caso, si è preferito cedere alla tentazione demagogica di agire sulla sanzione, cioè sugli aspetti repressivi, omettendo del tutto il tema della educazione stradale, cioè gli aspetti di prevenzione e culturali, che prevedono la promozione della conoscenza effettiva e del rispetto delle norme, ma anche la diffusione di un comportamento responsabile, di un “galateo stradale” per tutti gli utenti che in Italia continua ad essere oggetto alquanto misterioso.
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