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A Milano serve una svolta
posted by Presidente on 26/05/2009

Qualche giorno fa abbiamo letto sulle pagine nazionali del Corriere della sera un interessante articolo, anzi un vero manifesto culturale su Milano, che porta la firma del prof. Marco Vitale.
Le sue sono riflessioni lucide e stimolanti che dovremmo trovare il modo di far nostre e di non disperdere, nel quotidiano frastuono cui ormai siamo abituati.
Parole che trasmettono un amore vero per la nostra città, che non si accontenta degli ottimismi di maniera, di un orgoglio meramente campanilista ma richiede responsabilizzazione ed impegno, per la costruzione di un bene collettivo.
Oggi più che mai ci sembrano riferimenti importanti che sentiamo il bisogno di condividere.
 
Ricordiamo una frase, attribuita ad Agostino da Ippona: "La speranza ha due bellissimi figli: l'indignazione e il coraggio. L'indignazione per le cose che non vanno. Il coraggio per cercare di cambiarle".
 
Eugenio Galli (presidente Fiab CICLOBBY Milano)
 
 
 
Città e futuro. Proposte per una metropoli capace di integrare e di ritrovare la sua anima
«A Milano serve una svolta
Creiamo l’Expo dei cittadini»
L’economista Vitale: il cardinale ha ragione, la città diventi esempio per il Paese
  di MARCO VITALE


Spesso mi capita di parlare di Milano con amici e conoscenti di città del profondo Sud. Mi parla­no delle tristezze, della violenza, della corruzio­ne, della mancanza di professionalità, della iperpoliticizzazione dominanti nelle loro città. Poi aggiungono: certo che per voi a Milano è di­verso ed è più facile vivere. Quando cerco di spie­gare loro che da noi a Milano non è più molto diverso e che non è per niente facile vivere, colgo nei loro occhi un grande smarrimento, una enor­me tristezza.
Sembra che vogliano dire: ma se an­che Milano viene meno come punto di riferimen­to, come testimonianza del buon vivere civile, che cosa ci resta? Dove riporre i nostri sogni, do­ve radicare la nostra speranza? Questo episodio mi è capitato tante volte, fino al punto che che ho imparato a non replicare più e a dire «sì, certo, a Milano è diverso», per lasciare indisturbato il lo­ro sogno e magari sognare con loro una Milano che non c’è più. Ma è sparita o si è solo inabissata come un fiume carsico? A questo mi fanno pensare le importanti parole del cardinale Tettamanzi nell’intervista al Corriere e le sue domande evocano quella che anche Bonve­sin de la Riva si pose nel 1288: «Ma se i milanesi possiedono veramente tutte le doti che tu esalti, come mai la loro virtù non vale a reprimere tante malvagità? Rispondo: perché spesso i malvagi han­no forze e poteri; perché spesso i figli delle tenebre nelle loro malvagie imprese sono più attivi e scal­tri che non i figli della luce nelle loro opere buo­ne... ».
Il bisogno di onestà
Il Cardinale ha lanciato un monito fondamenta­le: Milano ha delle responsabilità di fronte al Pae­se; dunque noi tutti abbiamo delle responsabilità verso la città, il territorio e il Paese. Ma da dove incominciare? «Essere stati è condizione dell’esse­re » dice Braudel. E allora incominciamo pure dalla storia di Milano, perché chi conosce la sua storia e, attraverso essa, i suoi caratteri più profondi, non può non amarla. Perché Milano, e noi con essa, ha bisogno soprattutto di amore. C’è però una doman­da centrale alla quale si deve dare una risposta: che cosa ostacola la riemersione della forza trai­nante di Milano? La città conserva potenti fasci di luce: come può non riprendere il ruolo che le com­pete una città in grado di attrarre tante intelligen­ze in ogni campo della società?
Bisogna cambiare il terreno di gioco. Bisogna uscire dal recinto che ferisce l’onestà e la professio­nalità. Bisogna far emergere le qualità migliori e lavorare per conservarle. E poi si deve essere vigi­li, per proteggerle dai «figli delle tenebre» indicati da Bonvesin. Senza confrontarci sul loro terreno di gioco, perché qui gli spiriti delle tenebre sono in­vincibili.
Le cose da fare
E allora, davanti al crollo di tante aspettative degli ultimi anni, cominciamo con un primo sommario elenco delle cose da fare. Milano ha un disperato bi­sogno di discutere della gestione del suo territorio metropolitano in una prospettiva strategica, in mo­do competente, onesto e non inquinato da interessi specifici. Avviamo un Forum cittadino, dove la città possa dibattere ciò, con onestà e competenza.
Milano chiede che si parli seriamente dei conte­nuti dell’Expo 2015: è piena di altissime competen­ze in materia. Ma finora si è parlato solo di stipen­di, di metri quadrati degli uffici, di costosissime consulenze. E allora promuoviamo un gruppo di lavoro, articolato in varie sezioni, che dia voce alle migliori competenze cittadine.
La città ha un enorme bisogno di un consiglio comunale dove sopravviva quel poco che resta del­la misera vita democratica cittadina. Ma per i «figli delle tenebre» il Consiglio comunale è un luogo or­mai privo di qualsiasi sostanza e interesse, un luo­go da irridere se non da offendere. E allora organiz­ziamo una Consulta cittadina dove si dibattano pubblicamente i temi che dovrebbero essere ogget­to di dibattito nel Consiglio comunale; insomma un Consiglio comunale pro-forma.
Una nuova rappresentanza
Bisogna dare voce a una rappresentanza nuova, a chi si sente escluso dalle trasformazioni della cit­tà. Milano invecchia, ma i giovani ci sono. Ci sono nel potente sistema universitario. E ci sono nei li­cei. Sono un capitale sociale importante: è giusto mettere i giovani al centro di un progetto che ri­guarda il futuro. Ed allora proponiamo alle autori­tà scolastiche di promuovere incontri nei licei per dibattere con i giovani quei temi della contempora­neità, della vita civica e di Milano, che i professori da soli non riescono a svolgere. Sarebbe un grande aiuto per la scuola e per noi. Moltiplichiamo gli in­contri con i testimoni di coraggio, di onestà e pro­fessionalità, ed il clima cittadino nei rapporti tra scuola e città, tra anziani e giovani, cambierà in meglio, rapidamente.
C’è una riflessione, poi, che va fatta: troppo spes­so gli immigrati non rispettano la città. Ma chi in­segna loro a rispettarla? Chi spiega loro un po’ di storia e di struttura della città? Si può rispettare ciò che non si conosce? Milano ha sempre metabo­­lizzato le diversità, trasformandole in un punto di forza. Ma era una città sicura di sé: deve tornare ad esserlo.
Il rischio del razzismo
È necessaria un’azione di spietato, personalizza­to monitoraggio sulle cose che non vanno, sui pro­blemi concreti che non si risolvono mai. Anche questa è politica, perché quando i problemi non si risolvono mai, con l’uso competente della scienza e della tecnica, l’ambiente cittadino si incattivisce, la convivenza diventa più difficile, si diventa ostili l’un l’altro, si diventa razzisti.
Milano risente da troppo tempo di un clima di sfiducia. Questo ci fa soffrire. Ma questa sofferen­za oggi può diventare la nostra speranza. E un grande giornale può svolgere un ruolo importan­te, rispondendo così all’appello del Cardinale. Mila­no deve ritrovare un nuovo civismo, rafforzare quello che già esiste e darsi obiettivi ambiziosi. Tutto ciò va inquadrato in una cornice concettuale solida: a noi non manca. Basta ricollegarci ai no­stri veri grandi economisti, che non sono quelli che hanno studiato ad Harvard, ma quelli che si chiamano Pietro Verri, Cesare Beccaria, Pompeo Neri, Giandomenico Romagnosi, Carlo Cattaneo, quelli che hanno accompagnato Milano nel suo de­collo e nel suo sviluppo, che hanno posto le basi della Milano contemporanea. Verri analizza e com­menta la grande prosperità e forza di Milano pri­ma del XVI secolo; poi analizza e commenta il gra­ve declino che Milano subì nei 172 anni di domina­zione spagnola. Nell’analizzare le ragioni dell’anti­ca prosperità, Verri indica, accanto a ragioni legate alla posizione strategica per i grandi commerci, la certezza del diritto («la sicurezza dei beni fondata su buone e chiare leggi») e il rispetto della città verso le attività imprenditoriali (che allora si chia­mavano: i commerci). E poi aggiunge due ragioni che rinviene negli antichi statuti di Milano del 1480.
La prima è il divieto alle corporazioni di ergersi a corpi chiusi e separati, avvantaggiati o protetti da leggi e regolamenti. Tutto ciò per difendere la professionalità, il saper fare, rispetto all’essere affi­liati a qualche setta; dell’essere in sostanza cittadi­ni individualmente, e non per appartenenza a qual­che partito o corporazione o cosca. La seconda, in una approssimata e semplificata traduzione, è la difesa della libertà di intraprendere «ogni mestie­re, arte, professione o qualunque altra attività che non sia contraria alla legge municipale».
La vera anima della città
Come diverso sarà il periodo successivo del do­minio spagnolo, fatto di corporazioni, di chiusure, di autorizzazioni, di divieti, di manomorte e di con­seguente declino. Solo quando «l’umile» Milano dell’illuminismo avviò la stagione delle riforme, si tornò a vedere l’anima vera della città. La Milano moderna di Cattaneo, la Milano contemporanea o, meglio, i suoi caratteri di città aperta, attiva, tolle­rante, capace di assorbire e metabolizzare persone e contributi provenienti da ogni dove, nasce lì, da quella grande stagione.
Dove poggiano le radici più profonde di questa caratteristica di fondo che attraversa i secoli e scompare nei periodi bui e di oscurantismo, che certamente non mancano, per riemergere poi come un fiume carsico, è difficile dire. Per essere città aperta non è sufficiente giacere distesa nella gran­de pianura e ricevere chiunque arriva e da qualun­que parte arrivi. È necessario accogliere chi arriva e, a poco a poco, integrarlo. Per far questo sono necessari un modello, una cultura, una identità, qualcosa da dire e la capacità di dare, ma anche di prendere. Milano in questo è sempre stata grande: da Leonardo da Vinci a Verdi, da Toscanini a Torel­li Viollier, da Quasimodo a Montanelli, da Ambro­gio a Montini. Nessuno di questi grandi uomini che hanno fatto grande Milano, era nato qui. Mila­no è diventata per loro (e per migliaia di altri) una seconda patria. L’orgoglio di appartenenza non è una nostalgia da reduci: serve a riconoscersi in un luogo che non è solo un accumulo di mattoni.
Da qui dobbiamo ricominciare, per trasformare l’allarme Milano nella speranza Milano.
 
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