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Il ciclista e l’arte di arrangiarsi (sopravvivendo)
posted by Presidente on 21/05/2009

Proponiamo qui a seguire il testo dell'articolo del presidente di Fiab CICLOBBY, Eugenio Galli, pubblicato sulle pagine milanesi del Corriere della sera di martedì 19 maggio 2009.

 
Non è il migliore. Né il peggiore. Non è un percorso-modello, un esempio volutamente felice o infelice. Non è neppure l’ennesima recriminazione sull’orribile stato di strade anche centrali, come via Monte di Pietà, via Cordusio, via Manzoni, dei binari che si dissolvono nel mezzo di piazza Cavour. Semplicemente è uno degli itinerari che, con maggior frequenza e con alcune varianti, utilizzo per andare da casa al lavoro, e viceversa, in bicicletta. Tutti i giorni partendo, con qualunque meteo, da via Pacini (Città studi) per attraversare la città, sino a piazza Tripoli, circonvallazione filoviaria in zona Gambara, per un totale di circa 8,5 km (sola andata).
Una sfida? In una città europea, non lo sarebbe. A Milano può diventarlo.
Partiamo idealmente da piazza Piola, ridotta a gigantesca rotatoria con sei bracci, quante sono le strade che vi confluiscono. Qui occorre prestare molta attenzione a tutti i veicoli che, spesso senza segnalazione, svoltano a destra in uscita e possono tagliare la strada al ciclista che prosegue all’interno della rotonda. Via Nöe, dopo piazza Bernini, al mattino diventa un congestionato budello per via dei genitori che trasportano i bambini a scuola, in auto ça va sans dire. Più avanti, superata via Plinio, dove è frequente incontrare auto (ma anche camion) in sosta in seconda fila, mi dirigo sulla pista ciclabile di via Morgagni: poche centinaia di metri e molto frequentata, anche dai pedoni… (all’incrocio con via Broggi prestare attenzione a un tombino sporgente). La pista scompare in piazzale Lavater: proseguo costeggiando i binari dismessi di via Cadamosto. All’incrocio di viale Regina Giovanna, con un attraversamento prudentemente audace e non proprio in regola mi dirigo verso l’isola pedonale di via Spallanzani (ideale continuazione dell’itinerario precedente, in attesa che qualcuno si ricordi di completare l’intervento) per raggiungere porta Venezia. Anche qui, in mancanza di un attraversamento ciclabile, mi devo arrangiare per portarmi sulla carreggiata di corso Buenos Aires in direzione centro. L’intersezione coi binari di piazza Oberdan richiede attenzione: tra buche e asfalto rialzato, il rischio di sbandate e cadute è alto. Corso Venezia: quanto sarebbe semplice tracciare una corsia ciclabile, offrendo visibilità e sicurezza ai ciclisti con una banale striscia di vernice… L’accesso in bici all’isola pedonale di corso Vittorio Emanuele potrebbe essere agevolato ampliando gli scivoli di ingresso e migliorando la separazione dei flussi pedonale e ciclistico, ma tant’è. Altro punto problematico è l’uscita dall’isola pedonale di piazza Duomo in direzione di via Torino,mancando qualsiasi attraversamento ciclabile. Via Torino è poi esempio emblematico di strada “nemica della bici”: tra buche, pavé sconnesso, lastre rotte, uno spazio tra marciapiede e binari che in alcuni punti non supera i 50 centimetri, il tram che incombe alle spalle e il marciapiede inaccessibile… Superato il reticolo medievale, da via san Maurilio sino a via Luini, arrivo in corso Magenta. Anche qui le insidie non mancano e risiedono spesso nella cattiva manutenzione della pavimentazione (buche, rattoppi, pavé, porfido, binari). Dopo via Carducci, in particolare, il porfido è stato recentemente sostituito da asfalto. Ma in prossimità dei binari del tram è stata conservata (motivi estetici?) una striscia di pavé discontinua e sconnessa. Il tratto del corso che costeggia la basilica delle Grazie è per il ciclista ancora più pericoloso: lo spazio tra marciapiede e binari è ridotto ed è coperto da due file parallele di lastre di pavé, che generano un’insidiosa scanalatura. Non mancano neppure (vedi all’altezza di via Zenale) rattoppi che saltano via sotto l’usura del traffico, creando buche difficili da evitare. Meglio allora stare in centro carreggiata, tra i binari: che gli automobilisti strombazzino pure! Qualche decina di metri più in là, da via Saffi, entrano in corso Magenta altri moncherini di binari del secolo scorso. Sono quasi arrivato: dopo piazza Piemonte percorro via Sardegna. Qui auto e moto, incoraggiate dal calibro della carreggiata, corrono spesso ben oltre i limiti consentiti sulle strade urbane.
A fine giornata, il percorso di ritorno mi conduce su strade diverse. Dopo piazza Piemonte, l’incerta pavimentazione di piazza Wagner, mi dirigo verso i Giardini Vergani a Pagano: i marciapiedi che circondano il parco (a parte un tratto di via Pallavicino) non sono regolamentati per la circolazione delle bici a norma del codice della strada, in compenso abbondano le auto in sosta vietata fin sulle radici degli alberi. Superata via Sangiorgio (che nel tratto tra via Canova e l’Arco della Pace potrebbe essere resa a doppio senso per le bici) si arriva in piazza Sempioneon the rocks”, con cubetti di porfido pericolosamente disseminati sul selciato nell’area pedonale. Raggiungo la pista ciclabile che costeggia il Parco in direzione dell’Arena, dove capita di incrociare anche delle moto, decisamente fuori luogo. La segnaletica verticale, errata, indica interruzioni della pista che non esistono. Lungo viale Elvezia uno sbrego di una decina di metri interno alla pista ancora attende sistemazione. In piazza Lega Lombarda la pista permette di svoltare a destra o a sinistra (attraversamento ciclabile), ma curiosamente non prevede nulla per chi in bici procede dritto, verso via Moscova. Attraverso, quindi, utilizzando le strisce pedonali, e transito dalla stretta via di Porta Tenaglia, il cui manto dissestato richiederebbe una completa riasfaltatura. Da via Statuto e Montebello, arrivo in via Turati e mi cimento di nuovo con il pavé disastrato. Lasciato alle spalle il grigiore di piazza della Repubblica, mi appresto a risalire i Bastioni di Porta Venezia, in certi orari quasi un’autostrada urbana. Sono finalmente in piazza Oberdan e, visto che è l’ora dell’happy hour, evito accuratamente corso Buenos Aires, dove le auto sostano spesso in seconda fila, con le luci di emergenza accese per tutto il tempo dell’aperitivo. E, tra un drink e l’altro, rischi anche di prenderti qualche sportellata di troppo. Torno dunque lungo via Spallanzani e il cerchio finalmente si chiude.
Diciamolo ancora una volta: non è un problema di piste ciclabili. Né degli attuali 70 km spezzettati e fuori norma, né dei futuri (o futuribili) 120. Milano ha 2500 km di rete stradale e, essendo piatta e di ridotte dimensioni, deve darsi l’obiettivo di rendere fruibile alla bici l’intera città, con un mix di interventi, abbandonando la dipendenza dall’auto. In Europa non si starebbe neppure a discuterne: si realizzerebbe; anzi è già stato fatto. Qui, per ora, se ne discute, e basta.
 
Eugenio Galli (presidente Fiab CICLOBBY)
 
L’articolo è pubblicato anche sul forum Partecipa.Mi dove è possibile intervenire:
 
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